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Michele Giambono
San Crisogono
Il celebre dipinto rappresenta un santo “cavaliere che pigramente attraversa una selva ombrosa lungo un sinuoso e irreale viottolo” ( Franco 1998,p.120) posto in sella a un cavallo riccamente bardato. Come assicurato dall’iscrizione nel cartiglio, il cavaliere in armatura che reca uno stendardo ornato dalla croce e uno scudo col monogramma cristologico, è da riconoscere in S. Crisogono, martire aquileiese decapitato per volere dell’imperatore Diocleziano il 24 novembre 303, per aver rifiutato l’offerta di ricevere la prefettura e il consolato a condizione dell’apostasia.
Sotto il profilo artistico il dipinto, giustamente considerato uno dei più alti risultati della maturità del Giambono, rivela una maestria assoluta nel tenersi sapientemente in bilico tra l’incipiente cultura rinascimentale toscana e l’esplosione sfavillante di un raffinato gusto decorativo ancora pienamente tardogotico. Lo si coglie bene nel contrasto tra il protagonismo del cavallo, dall’anatomia definita e impostato di tre quarti secondo una timida impaginazione prospettica ribadita anche dallo scudo e soprattutto dalla lancia, e l’ambientazione in uno spazio favoloso e irreale dove la scala molto diminuita, quasi in miniatura, del fitto bosco non è di ostacolo alla descrizione delle parti arboree straordinariamente verosimili. La modellazione del cavallo, di una certa memoria pisanelliana, rivela una pronunciata sensibilità nel dosare le ombre seguendo il tracciato grafico sottostante riuscendo a dare effetti di tornitura del volume; al tempo stesso tradisce un tocco di vezzosa eleganza nel ripiegarsi all’interno delle due zampe opposte che si sfiorano quasi ad accennare un passo di danza.
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